Venusia - La città

Scelto in base alla necessità di consentire la sopravvivenza dei coloni in territori appena conquistati, il luogo dove fondare una colonia doveva rispondere ai requisiti strategici per il controllo militare del territorio, essere facilmente difendibile, doveva consentire un facile approvvigionamento idrico e disporre nelle vicinanze di cave o comunque permettere il facile reperimento e trasporto dei materiali da costruzione.

Anche la forma della colonia risultava essenzialmente legata ad una logica di tipo funzionale: la si costruiva ad imitazione del castrum, l’efficientissimo accampamento militare delle legioni; solo nelle zone interne forme più articolate erano rese obbligate dalle irregolarità del territorio.

L’impianto di Venusia fu programmato già nella prima fase urbana e l’ampio pianoro su cui sorge risulta essere intensamente urbanizzato fin dai primi anni di vita della città. L’abitato è diviso in tre fasce dalle due strade principali, intersecate trasversalmente da una serie di vie ortogonali a creare isolati rettangolari di circa m 54 x 105, con un rapporto tra larghezza lunghezza di 3 a 1. Per adattare il terreno alle esigenze di sviluppo della colonia furono inoltre realizzati dei terrazzamenti. L’attuale tessuto urbano ricalca parzialmente l’impianto antico conservando in C.so Garibaldi e C.so Vittorio Emanuele il tracciato delle due strade principali che attraversavano l’altopiano in tutta la sua lunghezza da Est a Ovest.

Le strade secondarie, di cui un breve tratto vicino alle terme è stato rinvenuto in buono stato di conservazione, dovevano essere in una prima fase pavimentate in terra battuta oppure coperte di ghiaia, successivamente furono lastricate.

La città era difesa da una cinta  muraria che correva lungo i margini del pianoro dove fu impiantata la colonia. Un tratto di queste mura in opera quadrata realizzata in blocchi di calcare locale a doppia fila, è stato individuato in Piazza Ruscello.

Non sappiamo dove si trovasse il Foro dell’antica Venusia (alcuni credono che sorgesse in corrispondenza dell’attuale P.zza Orazio), ma dalla sua pavimentazione proverrebbero le lastre con iscrizione monumentale riutilizzate nella costruzione della Chiesa della Trinità.

La parte orientale della città è caratterizzata dalla presenza di fornaci e dalla lavorazione della terracotta, mentre all’estremità occidentale di Venusia, nel punto più alto della città, dove ora sorge il Castello di Pirro del Balzo, era situato il castellum aquae: un grande serbatoio di cui alcuni resti sono stati ritrovati nel cortile del castello. 

L’approvvigionamento idrico, garantito dapprima da serbatoi, cisterne, pozzi e sorgenti, fu assicurato — almeno a partire dall’ età augustea — da un acquedotto, di cui restano circa 200 metri nei pressi dell’attuale ospedale, esso fu costruito nel 43 a.C. da Lucio Salvio, ricco proprietario terriero.

Strettamente collegate alla costruzione dell’acquedotto e da esso dipendenti sono le terme realizzate nella prima età imperiale, quando il prolungato periodo di pace e la presenza di un forte potere centrale consentirono la ristrutturazione del centro urbano e la realizzazione di una opera pubblica di notevole impegno urbanistico e finanziario quale l’anfiteatro. Questi interventi presupposero inevitabilmente un uso estensivo dell’esproprio del privato per la costruzione del pubblico e comportarono l’unione di due isolati e il declassamento della strada intermedia, nonché il livellamento delle precedenti costruzioni.

Alla prima fase edilizia delle abitazioni private più antiche di Venusia corrisponde una tecnica in opera incerta, con gli zoccoli delle abitazioni realizzati con ciottoli o blocchi di tufo ed gli alzati in mattoni crudi o altri materiali deperibili. In una fase successiva si utilizzarono ciottoli e frammenti di laterizi legati da malta, intonacati ed affrescati.

Oltre alla domus A, ricostruita in questo CD, un’altra domus di maggiori dimensioni è visitabile all’interno dell’attuale Parco archeologico, la Domus B.  Il complesso residenziale occupa tutto l’isolato delimitato da due assi viari minori. L’organizzazione degli ambienti è uguale alla domus ricostruita, ma comprende anche un peristilio (colonnato), mentre il locale a destra dell’ingresso è stato identificato come una bottega (taberna).

Resti di domus sono state individuate durante gli scavi sotto i giardini della Curia, ed un'altra nei pressi della chiesa di San Rocco. L'atrio di quest'ultima era pavimentato in scutulatum, genere di mosaico di solito utilizzato per i triclinii, rappresentante un pavimento non spazzato con i resti di cibo che i commensali usavano gettare sotto la tavola. 

Piuttosto accurata ed omogenea, in quanto coordinata dal potere periferico o centrale, risulta essere la tecnica edilizia utilizzata per l’esecuzione degli edifici pubblici. La successione cronologica dei materiali impiegati e della loro tessitura è: dapprima opera quadrata in blocchi di tufo, poi opus reticulatum (cubetti di calcare o di argilla), quindi opus mixtum ed infine opus latericium.

E’ molto probabile che una cittadina coloniale come Venosa fosse dotata anche di un edificio per gli spettacoli teatrali, ma di esso a tutt’oggi non si ha traccia. La presenza del teatro è fortemente indiziata dalla statua in tufo raffigurante un Telamone, utilizzata di reimpiego in una costruzione medievale: queste sculture di considerevoli dimensioni si ritrovano spesso in edifici teatrali, agli estremi dell’analemma (corridoi laterali di accesso alla scena). 

Per ciò che concerne il territorio gravitante intorno alla colonia, uno dei fenomeni più rimarcati da parte degli storici e degli archeologi è che fra fine IV e inizi III sec. a.C. molti insediamenti preromani cessarono di esistere o subirono un notevole ridimensionamento, conseguenza di un cambiamento e di un esodo di popolazione. Il caso più evidente è quello di Lavello (Forentum), importante centro apulo, in cui gli archeologi hanno rinvenuto importantissime necropoli relative al periodo antecedente la fondazione di Venusia, mentre la documentazione archeologica è relativamente scarna per il periodo successivo.

Con la fondazione della colonia, infatti, i terreni furono sequestrati ai Sanniti, che in gran parte ne divennero incolae (inquilini) e organizzati in villaggi o territori rurali (vici, pagi e stationes), sparsi sul territorio. 

Le forme d’occupazione coloniale erano molto probabilmente simili a quelle riscontrate in altre aree colonizzate dai Romani: a partire dal II sec. a.C. era sicuramente diffusa, come unità produttiva rurale, la villa rustica di tipo detto “catoniano”. Di piccole dimensioni e destinata ad ospitare gli schiavi addetti ai lavori agricoli e, di tanto in tanto, il proprietario terriero: può esserne considerato un esempio la fattoria rinvenuta a Banzi in località Mancamasone. 

Proprio Banzi (Bantia) è l’esempio archeologicamente più evidente del ruolo propulsore assunto da Venosa per la romanizzazione dei centri e delle aree limitrofe.

Prima ancora della guerra sociale, la comunità bantina, dietro pressione delle proprie élites, si diede una costituzione scritta in lingua osca e alfabeto latino su tavole di bronzo: le Tabulae Bantinae. Si tratta di un documento bilingue recante sul verso una legge romana della fine del II sec.a.C. e sull’altro il testo osco, che testimonia il processo di romanizzazione spontanea del centro indigeno su influenza ed imitazione della vicina Venusia, mutuandone in parte anche il sistema istituzionale, ad esempio la magistratura dei tribuni della plebe con competenza in materia edilizia. Da Banzi proviene anche un auguraculum di tipo latino a conferma della grande integrazione anche culturale con la romanità.

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